CARTOGRAFIE


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L’indagine pittorica di Marina Mentoni è una ricerca sulla spazialità, dove però sono saltati tutti i canoni tradizionali, compresa la questione della lateralità e le sue implicazioni sia per il momento creativo che ricettivo. Quello indagato dall’artista è infatti lo spazio dell’astrazione più radicale che annulla ogni forma di rappresentazione e converte la superficie pittorica in una stesura monocromatica.  Si tratta dunque di una spazialità neutra, omogenea, infinita e isotropa cioè indifferente alla direzione,  ma che si comporta come un  vero e proprio campo di energia  diffusa, attraversato da vettori dinamici e forze di resistenza che ne compongono, nella loro tensione più o meno armonica, la struttura. Di qui la fitta rete di segni formicolanti che intessono superfici ad elevatissima entropia, ma in realtà il disordine  è solo apparente perché ad uno sguardo ravvicinato la texture risulta armonica ed ordinata, avvincente come la cartografia di una galassia  che riproduce in tracce infinitesimali  l’equilibrio perfetto di miriadi di corpi celesti immersi negli spazi siderali. Quello stesso ordine che governa  la stesura del pigmento e la disseminazione delle tracce emerge con forza anche dalla logica compositiva dei dipinti, risolta in  installazioni rigorose e fredde che non concedono nulla alla sfera emotiva e richiamano l’attenzione sul serrato colloquio con le coordinate spaziali dei luoghi che le ospitano e la provocazione dell’environment.

E’ raro trovare un  esito  più coerente della lezione  kandinskyana  sul rapporto tra forme, colore e suoni come in queste scale cromatiche dove il colore risuona nelle minimali variazioni tonali, pesca nella profondità viscose del pigmento e riemerge in superficie all’incanto della luce. Ma al pari  di ogni ricerca ardita e fuori dagli schemi, l’artista vuole evitare l’incuria del pubblico negligente, già  denunciata da Mark Rothko nel 1947  sulla rivista “The Tiger’s Eye”: “ Un quadro vive in compagnia , dilatandosi e ravvivandosi nello sguardo di un visitatore sensibile. Muore per la stessa ragione.  E’ quindi un gesto arrischiato e spietato mandarlo in giro per il mondo”. Di qui la sua scelta  di centellinare le occasioni di esposizione al  pubblico dei suoi lavori che se a uno sguardo superficiale appaiono ostinatamente chiusi in un circuito autoreferenziale in realtà si concedono con arrendevole piacere ad interrogazioni penetranti e appassionate.

Le opere  di Marina Mentoni, siano esse dipinti su tavola, su tela o su carta,  possono dunque diventare  molto loquaci e pregne di significato per chi si dispone con umile pazienza a decrittarle. Le sue incomparabili textures, frutto di un sapiente e consolidato mestiere,  sono la cifra unica di  un percorso di ricerca che  si dipana  e si perde nell’intrico dei segni distillati secondo l’alfabeto originario e più elementare della linguaggio visivo modulato sul registro della musica puntuale di Stockhausen.  Così spazia dal macro al microcosmo, dalle cartografie di immensi e smisurati spazi cosmici alle minimali ed intime geografie dell’anima sempre all’inseguimento di tracce perdute che proietta con la precisione di Mercatore in semplici superfici dove delinea il perimetro e l’area dello ‘sfondo’  sul quale spiccano tutte le volontà di scrittura, quelle stesse rintracciate con la paziente virtù dell’amanuense dal suo maestro e mentore, Magdalo Mussio. Ciò che svela lo sfondo non lascia indifferenti perché porta alla luce un campo mentale e non un fenomeno ottico, un insieme segnato profondamente e in modo indissociabile dalla natura e dallo spirito, dove il vuoto  è annullato da tracciati vitali che trasformano lo spazio nel tempo della vita e viceversa.

Dunque l’investigazione di Marina Mentoni affonda nello spazio ma per raggiungere la dimensione del tempo, per analizzare da vicino quelle coordinate che predispongono il terreno fertile ai germogli della vita, alle sue infiorescenze e alla sua morte. Le ultime opere,  più calde e delicate, frutto di un lavoro composito di calcografia e intervento pittorico affidato ad impalpabili carte incollate su tela, documentano la dimensione del tempo restituita attimo dopo attimo nello spazio del dipinto in tutta la sua forza e in tutta la sua fragilità. Sono carte, ma anche cartografie di urgenze esistenziali che esplodono in un pulviscolo di luce cosmica per raccontare di possibili vite e anche di ogni anonima esistenza che resta pur sempre nella memoria dell’universo come un punto luminoso, un raggio di luce.  Nate come horti conclusi questi lavori finiscono per diventare giardini dell’anima, luoghi di resistenza alle regole del mercato e del consumo dove  vengono  conservati semi di speranza e coltivate con amorevole cura tutte quelle spinte vitali, spesso neglette e trascurate, che riconciliano l’uomo con se stesso e con il suo mondo.

 

 

Paola Ballesi

 

 



 

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