ICONE DEL VISIBILE

Che il lavoro  di Marina Mentoni  ponga un problema di visione e di visibilità, lo si avverte al primo impatto, quando lo spettatore rileva con stupore di non vedere nulla,  ma nello stesso tempo che lo spiazzamento è intrigante perché, se l’opera si sottrae alla normale visione ottico- scientifica, è per richiedere attenzione per una lettura più sottile ed accorta, affidata ad una attrezzatura percettiva e mentale idonea a cogliere la caratura di un’operazione artistica immanentizzata nel corpo vissuto della superficie pittorica.
Attraverso la semplificazione massima della composizione, l’artista rivela le sue ascendenze rigorosamente minimalistico-concettuali che conservano intatta l’intenzionalità di  trascendere il caos senza ricorrere a delle rappresentazioni, ma affidandosi unicamente all’atto creativo apparentemente purgato di ogni scoria di emotività e reso presente unicamente da una monocroma tessitura di segni, di scarne tracce che alludono e rimandano ad altro, all’assenza che incombe, all’evocazione dell’invisibile che puo’ apparire a condizione che si esca fuori dal sistema rappresentativo, dal chiasso della comunicazione e del consumo per immagini.
Infatti, solo insistendo ad adattare gli occhi alle campiture piatte, si cominciano a distinguere trame e orditi di segni che si compongono e si dissolvono ai limiti dell’invisibiltà in superfici ad irradiazione interna che creano una fitta rete di relazioni visive attraverso sottilissimi gradienti di luce:  è come se la pittura, definitivamente libera ormai dalla necessità di rappresentare qualcosa al di fuori di sé, volesse presentare solo se stessa nel suo corpo, così concentrata nella sua ambigua inafferrabile presenza.
Ed è per questo che il gesto pittorico, anche se sottile e misurato, provoca continuamente il limite e sposta di volta in volta la soglia del visibile perché lo sollecita uno sguardo ben diverso, radicato in una visione del corpo che si alimenta alla immediatezza pre-rappresentativa del sentire, un sentire originario, preriflessivo, proprio della dimensione estetico-artistica che appartiene all’inscindibile intreccio di soggetto e oggetto immersi nell’esperienza primordiale dell’essere, dove dunque il corpo dell’artista e quello della pittura vivono ancora impastati della stessa “carne” .
Il richiamo a tendenze storicizzate come Responsive Eye o Color Field é perciò solo apparente, infatti la questione in gioco non riguarda il meccanismo percettivo, bensì come la percezione risponda ad esigenze più profonde, legate al corpo e al suo sentire, che danno la dimensione dello spessore ideativo ed espressivo registrato in questi lavori, sottratti alla mera tecnica della comunicazione e  al suo interesse e affidati alla meditazione del fare artistico che opera al limite dell’esperienza, decondizionata da usi, abitudini, protocolli e tradizionali ritualità, poiché ormai la ricerca avanza in territori impervi dove il sapere scientifico deve cedere il passo ad un altro sapere che vuole rintracciare la genesi  precategoriale costitutiva del mondo.
Marina Mentoni dipinge l’evento della pittura, l’atto stesso, il luogo della visione e del puro accadere che ha del sublime poiché raccoglie il pathos di una esperienza che  situa, dà luogo, qui e ora, a una realtà nascente di cui la sua pittura celebra l’apparire inaugurale e che richiede un altro sguardo, dunque, un altro sapere, che ha del paradossale perché non sa altro se non lo stupore e lo sgomento di fronte al mondo, e nello stesso tempo ha la grande responsabilità di riattivare sempre di nuovo forme a priori della visione e dell’immaginazione.
Così, mentre le tavole, assemblate in dittici e polittici a forte valenza simbolica, prefigurano l’insorgere del visibile diventandone le “icone”,  le sue carte ne  raccontano le precondizioni costitutive attraverso la faticosa tessitura di un ideale di libertà che, muovendo dal profondo, non vuole dare una legittimazione estetica al reale, ma mostrarne le crepe, le ferire, il volto nascosto, affinché tutto appaia finalmente sotto nuova luce.

Paola Ballesi

back